LAVORO | Divieto di licenziamento - rimedi

La durata del blocco dei licenziamenti sta dividendo la maggioranza di Governo che sta ultimando le norme del pacchetto lavoro da inserire nel Dl Agosto.

Da una parte il ministro del Lavoro  (anche su pressione di CGIL CISL UIL) vuole estendere il divieto in scadenza il 17 agosto fino alla fine dell’anno, mentre altri sono favorevoli a un’estensione fino al 15 ottobre, in corrispondenza con il termine dello stato d’emergenza, preoccupati dal rischio di incostituzionalità della norma che prolunga un divieto iniziato lo scorso 17 marzo, e temendo l’effetto boomerang una volta scaduta la proroga.

Attualmente la previsione di "blocco" dei licenziamenti è contenuta nell'art. 46 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”), convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, integrato in corso d'opera dal D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. “Rilancio”), per il quale: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per cinque mesi e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604. Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

 

Preme evidenziare che non soggiacciono al divieto di licenziamento ex art. 46:

1) i licenziamenti per ragioni economiche che si sono perfezionati prima dell'entrata in vigore della norma (17 marzo 2020) e quelli che implicano la risoluzione del rapporto successivamente allo spirare del divieto (17 agosto 2020);

2) i licenziamenti disciplinari;

3) i licenziamenti dei collaboratori domestici, ai quali non si applicano affatto le norme relative alla giustificazione tipizzata dei motivi di licenziamento, ma possono essere licenziati ad nutum, in virtù della prevalenza dell'afflato fiduciario che il legislatore ha inteso riconoscere, per la particolarità del rapporto, prestato presso l'abitazione del datore, con tutte le implicazioni che ne conseguono, e non nell'ambito di una organizzazione d'impresa;

4) il licenziamento economico dei dirigenti, anche questo di norma sottratto all'egida dell'art. 3 della L. n. 604/66, sebbene non di rado ricompresi nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo;

5) il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova.

6) licenziamento disposto per superamento del periodo di comporto.

7) il licenziamento, rectius, la risoluzione, del rapporto con l'apprendista per il completamento del periodo formativo. 

 

Al contrario, secondo la posizione espressa dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota del 24 giugno 2020, prot. n. 298, anche il licenziamento per inidoneità sopravvenuta alla mansione deve intendersi soggetto al divieto dell'art. 46 del D.L. n. 18/2020, considerato che “deve essere ascritto alla fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, atteso che l'inidoneità sopravvenuta alla mansione impone al datore di lavoro la verifica in ordine alla possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori, anche attraverso un adeguamento dell'organizzazione aziendale”.

Che fare quindi considerato che  i licenziamenti operati in questo periodo sono nulli ex lege?

La via appare stretta e impervia ma, un piccolo spiraglio, lo si intravvede nel messaggio n. 2261 dell’Inps del 1 giugno 2020, laddove si riconosce il trattamento di NASPI al lavoratore ingiustamente licenziato per giustificato motivo oggettivo in un momento in cui la legge lo vieta, con l’unica riserva da parte dell’Istituto, di una restituzione nel caso in cui, a seguito di giudizio o di accordo extra giudiziale, il lavoratore venga reintegrato con il pagamento delle mensilità relative al periodo in cui è stato lontano dall’azienda.

Lo spiraglio che ho, sommariamente, descritto, può ben collegarsi, per esempio, alla previsione contenuta nell’art. 6, comma 1, del D.Lvo n. n. 23/2015 laddove è previsto che la conciliazione facoltativa, secondo l’iter procedurale ivi ben specificato, si applichi a tutti i licenziamenti previsti dalla norma: quindi, non soltanto quelli per giusta causa, giustificato motivo oggettivo e giustificato motivo soggettivo (art. 3) ma anche per quelli nulli per previsione di legge, per motivo discriminatorio o ritorsivo, o perché adottati in forma orale o perché carenti del motivo giustificativo nei licenziamenti dei disabili ex articoli 4 e10 della legge n. 68/1999 o degli inidonei ex articoli 41 e 42 del D.L.vo n. 81/2008 (art. 2).

Da ciò ne discende che, con il consenso dell’interessato, si possa giungere ad una soluzione conciliativa, da sottoscrivere “in sede protetta “ (conciliazione in sede sindacale), ove il lavoratore accetta il licenziamento (magari, con un incentivo economico) e dichiara di non impugnare il recesso neanche per motivi formali.  

 

Ricordiamo ancora alle aziende associate che la nostra Associazione è a disposizone per ogni eventuale necessità anche in riferimento al tema trattato e alla possibilità di sottoscrivere verbali di conciliazione in sede sindacale che per loro natura sono atti che definiscono senza possibilità di impugnazione questioni o problematiche attinenti alla gestione del rapporto di lavoro.

 

 

Per informazioni rivolgersi all'Associazione degli Industriali della Sardegna Centrale
Referente: Direzione - Luigi Ledda
Telefono: 0784 233313
Fax: 0784 233301
E-mail: l.ledda@assindnu.it

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