Il direttore di SardiNews a Mosaico Siniscola: no all'orticaria antindustriale

Al convegno Mosaico del 27 febbraio a Siniscola, il direttore di SardiNews Giacomo Mameli ha spiegato cosa sia l'orticaria antindustriale e perché la Sardegna non possa rinunciare all'industria. Sferzante e incisivo, l'intervento di Mameli sollecita tutta la classe dirigente a prendere in mano la situazione e a cambiare passo perché i cambiamenti vanno governati e non subiti.

Di seguito pubblichiamo l'intervento integrale del direttore di Sardi News al convegno Mosaico promosso da Confindustria il 27 febbraio a Siniscola.

«L'orticaria avviene quando uno ha il prurito e spesso viene il prurito a tutto ciò che sa di industria. Poiché l'industria in Sardegna è stata disastrosa - con imbrogli colossali, gli scandali della chimica, delle miniere, delle imprese che sono venute, hanno rubato i soldi, e se ne sono andate lasciando qui il deserto - si è innescato il meccanismo che il problema sia l'industria anziché i ladri.

Il problema, invece, sono i ladri. Senza industria non si va da nessuna parte. Il discorso va impostato sull'orticaria antindustriale che c'è in Italia. L'italia è l'unico paese in Europa che è cresciuto meno di tutti gli altri dal punto di vista industriale: abbiamo perso l'auto, la chimica, l'alluminio e persino l'acciaio.

Pensiamo all'ILVA di Taranto. I numeri li sapete, non sto a ripeterli, era un'industria che produceva acciaio. (Noi abbiamo bisogno dell'acciaio per fare le solette, così come per fare le solette abbiamo bisogno del cemento). L'Ilva è stata gestita, dal punto di vista manageriale, in modo pessimo perché ha inquinato, ha creato morti, disastri. La salute va tutelata, non capiscono che contrariamente a 20-50 anni fa, la tecnologia consente di avere industrie che rispettano salute e territorio. Oggi si può avere l'alluminio a Porto Vesme, senza che vengano scaricati i fanghi rossi in mare, ma acque pulite e depurate.

Da quando l'Ilva si è fermata, l'Italia – Sardegna compresa – ha importato acciaio da:
• 280% Turchia,
• 176 % India,
• 114 % Corea,
• 89 % Russia,
• 400 % Paesi Bassi,
• 91 % Belgio,
• 32 % Austria,
• 1,2 % Germania

Le importazioni straniere di acciaio in Italia vanno di corsa. I "signori dell'acciaio" invadono il mercato italiano, andando a riempire, in molti casi, i buchi lasciati dall'Ilva. Cosa vuol dire questo? I miei soldi li sto mandando in quei Paesi. Qui non ho l'industria, perdo gli operai, perdo la produzione, perdo il PIL e crepo di fame.

L'italia, che oggi è governata con i tweet e con i selfie, sta regredendo dal punto di vista produttivo e ha 4 milioni di disoccupati in più. La quota italiana sul mercato europeo è calata dal 17% al 14,8%. Contestualmente, sono aumentate le quote di produzione di Germania (da 24,7% a 26,1%) e Regno Unito (da 4,3% a 6,6%).

Roberto Villa, uno dei principali trader dell'acciaio, ha affermato che la situazione, nel medio breve periodo, tenderà ad aggravarsi e ad essere più devastante.

Allora amici, io vi chiedo che senso ha che il presidente Bornioli ci convochi qui a parlare di industria se abbiamo un' Italia che non fa nulla per l'industria? L'industria e la produzione industriale non risultano al centro dell'agenda politica nazionale e regionale. Siamo in un Paese che non ha collocato l'industria al centro dei propri interessi.

Naturalmente non è che le imprese vanno salvate, perché se le imprese non fanno innovazione e non si sanno muovere nel mercato falliscono. Il dato di oggi su Il Sole 24ore parla chiaro: la quota percentuale del livello di innovazione delle imprese è cresciuto: del 26 % negli Stati Uniti, del 18 % in Giappone, 11 % in Germania e soltanto il 2 % in Italia. Praticamente niente! In che modo creiamo il lavoro se non ci mettiamo in testa, politicamente, che innovazione e industria sono la base della crescita e dello sviluppo del nostro territorio?

Vogliamo parlare dell'alluminio? Vogliamo chiederci per quale motivo l'ALCOA chiude in Sardegna e crea un'azienda nel golfo dell'Islanda dove produce lo stesso alluminio di Porto Vesme e in mare scaricano acque pulite anziché le zozzerie che scaricavano in Sardegna?

Il problema, amici, non è la parola industria o industriale. È chi con l'industria e con gli industriali ha rubato. Quindi noi non dobbiamo demonizzare questo termine. Guardate che l'industria è quella che ha fatto crescere la Sardegna! Mio fratello è dovuto emigrare da Perdasdefogu a Milano per poter lavorare, perchè nel mio paese non c'era lavoro. Non solo mio fratello, trecento mila sardi sono emigrati dalla Sardegna per andare fuori. Dove? In chiesa a pregare la Madonna di Bonaria? O sono andati alla FIAT? Sono emigrati dove c'era il lavoro, dove c'era l'industria. Però noi questo non l'abbiamo mai capito. Non abbiamo capito che l'industria oggi si può fare più di ieri perché le tecnologie consentono di avere industrie compatibili con il territorio e l'ambiente.

E in Sardegna? Vi rispondo in dialetto campidanese: procaridadi! La politica regionale è come quella italiana, non mette al centro della propria agenda la politica industriale. Noi non abbiamo mai visto un Consiglio regionale che si occupasse del CHE COSA produrre.

Ho iniziato a fare il giornalista raccontando 40 delitti all'anno nella zona tra Nuoro e Orune, Orgosolo e Sarule. La situazione, in Sardegna, è cambiata grazie all'industrializzazione. Se poi gli altri hanno rubato, come vi ho già detto, è un altro discorso. Ma l'industria ci ha fatto uscire dalla solitudine dell'ovile, dell'orto e ci ha permesso di inserirci nelle fabbriche. Siamo passati dalla solitudine alla società collettiva.

Quell'industria che ha creato 40 mila posti di lavoro in Sardegna, è cambiata negli anni ed è stata sostituita dal NULLA. I primi politici della rinascita vanno ringraziati perchè fino agli anni '80 ci hanno permesso di vivere e di avere operai nei poli industriali di Ottana, Porto Vesme e Sarroch. Oggi, quegli operai, non ci sono più perché la nuova politica non ha capito qual è il nuovo metodo di sviluppo. Non sappiamo dire come verranno creati nuovi posti di lavoro in Sardegna.

Lo stesso discorso vale per l'AGRICOLTURA. Dobbiamo vergognarci di essere sardi. Perché in una regione che è chiamata AGROPASTORALE, 7 bistecche su 10 arrivano da fuori. Come il cemento e come l'acciaio.

Siamo una regione circondata dal mare che continua, però, a importare 9 pesci su 10 dall'oceano Pacifico e Atlantico.

I supermercati sono pieni di patate che arrivano dalla Baviera e pere che arrivano dall'Argentina. Siamo incapaci di fare agricoltura!

Quo vadis Sardegna? Dove va la Sardegna? Non c'è risposta, la politica non risponde e non risponde neanche la classe dirigente. Non rispondono i giornali sardi, non rispondono gli intellettuali del tutto assenti da questi problemi.

Il presidente Bornioli ha iniziato il convegno parlando di scuola, vorrei spendere due parole in merito. Io sono terrorizzato da questo fatto: la Sardegna è la regione col più basso rapporto popolazione – laureati/ diplomati in italia.

Siamo la regione con il più alto tasso di dispersione scolastica, i nostri ragazzi, dopo la maturità, partono all'estero oppure cercano atenei fuori dalla Sardegna perché i nostri sono ultimi in classifica. Davanti a questo disastro, per me è il disastro principale della Sardegna, come intende rispondere la politica regionale?

Guardate, io l'ho scritto oggi, su La Nuova Sardegna in Cultura, c'è da avere orrore anche dei termini filologici. Davanti a questo disastro scolastico si parla, non di potenziamento, ma di ridimensionamento scolastico. Che fiducia dai ai nostri ragazzi? Siamo alla follia.

La Sardegna ha bisogno di cambiare passo».

Visita l'edizione on line del periodico di informazione socioeconomica Sardi News diretto da Giacomo Mameli: http://www.newsardi.com/ .

 

 

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