LAVORO | Per Cassazione legittimo licenziamento successivo ad attività investigativa

Il licenziamento di un lavoratore effettuato in seguito ai risultati di un’attività investigativa, svolti da terzi incaricati dal datore di lavoro, è legittimo a condizione che il suddetto controllo non investa la qualità del lavoro. Quest’ultima verifica, infatti, rientra nei poteri di controllo esercitabili solo dal datore di lavoro. A precisarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8373, depositata il 4 aprile 2018.

Un agente assicurativo era licenziato, sulla base di controlli effettuati da un’agenzia investigativa, incaricata dal datore di lavoro. Quest’ultimo, infatti, visti gli scarsi risultati conseguiti dal lavoratore, decideva di incaricare dei soggetti terzi, per verificare se il dipendente si fosse assentato senza giustificato motivo oppure in assenza di un permesso dal luogo di lavoro.

Gli esiti dell’indagine consentivano di individuare una situazione lavorativa che pregiudicava il vincolo fiduciario tra lavoratore e datore, in conseguenza della quale il datore decideva di interrompere il rapporto lavorativo. In particolare emergeva il mancato rispetto sia dell’orario di lavoro, sia dell’adempimento delle prestazioni lavorative legate all’attività al di fuori dell’ufficio
Il provvedimento era immediatamente impugnato, poiché fondato sulle risultanze di un’investigazione del tutto illegittima, in quanto svolta da soggetti diversi dal titolare dell’impresa e finalizzata al controllo a distanza del lavoratore.
Le doglianze erano respinte dai giudici di merito sia in primo, sia in secondo grado.
L’agente assicurativo ricorreva in Cassazione, per sostenere l’illegittimità dell’interruzione del rapporto lavorativo.

La decisione
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8373, depositata il 4 aprile 2018, ha rigettato il ricorso presentato dal lavoratore.
In via preliminare, i giudici di legittimità chiariscono che l’applicazione di una sanzione interruttiva di un rapporto lavorativo, avviene tutte le volte in cui viene meno il rapporto di fiducia e reciproca stima tra le parti. Tale rilievo può essere individuato, continua la Corte, anche attraverso l’impiego di investigazioni private commesse a terzi, secondo quanto previsto dagli artt. 2 e 3 dalla legge 300/1970. Le norme, infatti, non precludono al datore di lavoro di ricorrere ad agenzia investigative, purché quest’ultime non sconfinino nella cosiddetta vigilanza dell’attività lavorativa, ossia nel controllo della qualità e quantità del lavoro del dipendente. Tale prerogativa, di fatto, spetta solo al titolare dell’impresa.

Le predette garanzie, proseguono i giudici della Corte, non si estendono però ad eventuali comportamenti illeciti tenuti dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione, e non legati alle modalità e alla qualità di quest’ultima.
Nel caso di specie il licenziamento era intimato dal datore, in seguito ai risultati di attività investigative dalle quali era emerso il mancato rispetto sia dell’orario di lavoro, sia dell’adempimento delle prestazioni lavorative legate all’attività al di fuori dell’ufficio
Da qui il rigetto del ricorso.

fonte Ipsoa

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