Jobs Act (3°approfondimento): Il licenziamento per giustificato motivo e per giusta causa

 

Jobs Act - Il licenziamento per giustificato motivo e per giusta causa

 

a cura di Confindustria

 

Il primo comma dell’art. 3 contiene la disciplina degli effetti sanzionatori “generali” derivanti da un licenziamento ingiustificato: estinzione del rapporto e condanna al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr, per ogni anno di servizio. La misura dell’indennità non può in ogni caso essere inferiore a 4 mensilità, né superare le 24 mensilità.

Tale sanzione opera sia con riferimento ai licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo che con quelli intimati per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, anche se per ragioni espositive è utile distinguere le due ipotesi.

Per quanto riguarda il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, la scelta del D. Lgs. n. 23/2015 è molto chiara: in caso di illegittimità di tale tipologia di licenziamento l’unica sanzione applicabile è quella dell’indennizzo economico previsto dall’art. 3, comma 1. Per le nuove assunzioni viene, infatti, definitivamente superata la possibilità della reintegrazione, prevista dall’art. 18 della Legge n. 300/1970 nell’ipotesi in cui si “accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.

Un’ulteriore importante novità è stata prevista anche sotto il profilo della procedura. L’art. 3, comma 3, del D. Lgs. n. 23/2015 esclude l’applicazione della procedura preventiva, introdotta dalla riforma Fornero all’art. 7 della Legge n. 604/1966, per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti. Come noto, infatti, l’art. 1, comma 40, della Legge n. 92/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento una procedura preventiva tesa a favorire il raggiungimento di un accordo conciliativo tra le parti qualora l’impresa, avente i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, comma 8, della Legge n. 300/1970, sia intenzionata ad intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

La scelta del legislatore di escludere l’applicazione della procedura di cui all’art. 7 della Legge n. 604/1966 si giustifica alla luce della nuova disciplina sull’offerta di conciliazione contenuta nell’art. 6 del D. Lgs. n. 23/2015 che verrà illustrata più avanti.

 Più articolata è, invece, la disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Anche in questo caso, la regola generale è quella della tutela indennitaria prevista dall’art. 3, comma 1. Permane, tuttavia, un’ipotesi di reintegrazione, sebbene molto più circoscritta rispetto a quanto previsto dall’art. 18, comma 4, della Legge n. 300/1970.

L’art. 3, comma 2, del D. Lgs. n. 23/2015 limita, infatti, l’ipotesi in cui trova applicazione la reintegrazione al caso “in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”.

La prima novità contenuta nella norma è il venir meno dell’ipotesi di reintegrazione prevista dall’art. 18, comma 4, della Legge n. 300/1970, ovvero il caso in cui “il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”.

Inoltre, l’art. 3, comma 2, del D. Lgs. n. 23/2015 recepisce e cristallizza nella legge il principio, già affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 23669/2014 con riferimento alla disciplina di cui all’art. 18, comma 4, della Legge n. 300/1970, secondo cui esula dal giudizio relativo all’insussistenza del fatto “ogni valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del comportamento addebitato”.

Ne segue che, anche alla luce dell’espressa previsione del dato normativo, il vizio di proporzionalità del licenziamento disciplinare rileva al solo scopo di valutare la legittimità o meno del licenziamento ma non ha effetto alcuno sulla disciplina sanzionatoria, che consiste, sempre e comunque, nella condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 3, comma 1, del D. Lgs. n. 23/2015.

Pertanto, l’applicazione della sanzione della reintegrazione opera esclusivamente nel caso in cui il licenziamento sia viziato dall’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. Sul punto giova richiamare quanto chiarito dalla già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 23669/2014 secondo cui “tale verifica si risolve e si esaurisce nell'accertamento, positivo o negativo, dello stesso fatto, che dovrà essere condotto senza margini per valutazioni discrezionali, con riguardo alla individuazione della sussistenza o meno del fatto della cui esistenza si tratta”. Ovviamente deve essere assimilata all’ipotesi dell’insussistenza materiale della condotta quella della non attribuibilità al lavoratore interessato dal provvedimento disciplinare.

Come di consueto, si raccomanda di prestare particolare attenzione in sede di redazione della contestazione disciplinare che descrive la condotta posta in essere dal lavoratore e posta alla base del licenziamento, evitando, ove possibile, ogni qualificazione giuridica della fattispecie ed attenendosi strettamente alla descrizione del fatto contestato.

Fermo restando il tetto massimo delle 12 mensilità di indennità risarcitoria, nell’ipotesi in cui il licenziamento disciplinare è sanzionato con la reintegrazione, il D. Lgs. n. 23/2015 contiene alcune novità.

In primo luogo anche in questo caso la mensilità di riferimento non è più l’ultima retribuzione globale di fatto, bensì l’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr.

Vengono poi delimitati i confini dell’aliunde percipiendum che, insieme all’aliunde perceptum, devono essere dedotti dall’indennità risarcitoria spettante al lavoratore. L’art. 3, comma 2, infatti, chiarisce che l’aliunde percipiendum è determinato con riferimento a quanto il lavoratore “avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. c, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181. In base alla norma citata, si tratta di una “congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo nell'ambito dei bacini, distanza dal domicilio e tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle Regioni".

 

Per informazioni rivolgersi all'Associazione degli Industriali della Sardegna Centrale
Referente: Daniele Maoddi
Telefono: 0784 233316
Fax: 0784 233301
E-mail: d.maoddi@assindnu.it

 

Modifica Visualizzazione: Mobile Version | Standard Version